lunedì 28 settembre 2015

GLI STORNELLATORI PRECOCI

Giornale radio. Oggi, 29 settembre, è la ricorrenza dello scioglimento di uno dei più sottovalutati complessi beat degli anni ’60: gli Stornellatori Precoci. I Quattro Bardi di Bra divennero famosi per versioni particolarmente accurate di brani dell’epoca, che però finivano subito. I loro concerti duravano pochi minuti, appena il tempo di imbracciare gli strumenti. Generalmente il pubblico era comprensivo, cercava di giustificare questo particolare modo di porsi, e qualcuno comprò persino un loro 5 giri. Purtroppo, già dalla fine degli anni ’60, i gusti delle platee si spostarono su lunghe suite di venti minuti, e la musica dei ragazzi di Bra apparve obsoleta. A nulla servì l’organizzazione di un’esibizione benefica di quattro secondi di silenzio. Il gruppo si sciolse dopo meno di una settimana di gloriosa attività.
Vi proponiamo ora il brano più celebre dalla straordinaria carriera degli Stornellatori Precoci.

29 SETTEMBRE (Battisti-Mogol)

Seduto in quel caffè…

Splash.

Gli Stornellatori Precoci. Da sx a dx: Pit Pacciani, Berto Smaila,
Tonio Little, il giovane Nanni e Giuseppe Burro.   

CERTAME CORONARIO

Re Eadwig aveva compiuto ventiquattro anni. Un’età eccezionale, in un’epoca in cui la speranza di vita media era di appena dodici anni. Dopo la lunga e spossante guerra, un’epidemia di peste, una di lebbra, ancora la peste e la moria delle vacche, il compleanno del monarca era il primo evento lieto dopo quarantott’anni, cioè quattro generazioni.
I contadini, stremati dalla carestia, non avevano esitato nel donare quel poco che possedevano per finanziare la stupenda festa per Re Eadwig. Le casse della Corona erano colme di tributi e le casse del camposanto colme di cadaveri di contadini che invece avevano esitato.
Il banditore, dal centro della piazza, poté annunciare solennemente:
“Il giorno nove aprile, dell’anno del Signore millecentocinquanta, Eadwig, Re della Guienna, indirà presso la sua Corte, un certame coronario in lingua volgare, cui saranno ammessi tutti i trovatori del regno. Chi allieterà maggiormente il sovrano, vincerà una piuma di fagiano, un sasso, il bandolo di una matassa e una giovenca gravida”
La voce del ricco premio si sparse rapidamente in quelle terre disgraziate, e furono molti che si misero in cammino verso la capitale, con solo un tozzo di pane in tasca e l'umile crogiuolo vuoto.
Arrivò così il grande giorno. Re Eadwig era di ottimo umore. Si sedette sul suo tono di ossa umane e sparò un colpo di balestra in testa al figlio prediletto.
Ah, non vi ho detto che Re Eadwig era un pazzo sanguinario, cannibale, coprofilo e stupratore di gattini. Forse non lo sapeva neanche il primo trovatore, che dopo aver assistito alla scena del violento omicidio, se la fece addosso e proprio, non voleva saperne di recitare la sua poesia. Re Eadwig gli fece strappare i pollici e ordinò che fosse appeso a testa in giù, con tutto l’intestino sbobinato. Il primo trovatore emise una poesia ermetica, e poco dopo ei fu, siccome immobile.

Il secondo trovatore fu celere nell’inchinarsi dinanzi a Re Eadwig. Tremante come una foglia, prese a declamare una poesia sul rosignolo.
“Quel rosignuol che sì soave piagne…”
BANG! Un colpo di balestra fracassò la testa del rimatore, che esplose in mille brandelli.
Il Re caricò nuovamente l'arma, ed eccitato chiese un altro artista.

“La rondine vola alta, e dell'aprile s’esalta…”
BANG! Il dardo si conficcò nella gola del terzo trovatore.

“All’imbrunir del giorno…”
BANG! Il quarto trovatore, colpito al polpaccio, si accasciò continuando a rimare:
“…ritorna al nido, lo storno!”
BANG! BANG! Un colpo a vuoto e uno, fatale, al centro del petto.

Centoquattordici trovatori dopo, i trovatori finirono.
“Trovatemi dei tovatori!”, gridò Re Eadwig, rosso di sangue, oscenamente esaltato.
Le guardie del Re partirono alla ricerca di poeti freschi. Cavalcarono attraverso tutte le terre della Corona, frugando villaggi, castelli, case, cascine, stamberghe, catapecchie, capanne, chiese e conventi. Entro sera, consegnarono a Re Eadwig ottantadue nuovi sedicenti verseggiatori, compreso un impertinente che aveva risposto loro per le rime.
BANG! BANG! BANG!
Il Re sparò al mucchio dei poeti e delle guardie, senza preoccuparsi di fare distinzione.

Compiuto il massacro, si alzò in piedi. “Dichiaro concluso questo certame coro…”
“No, maestà! Anch’io voglio gareggiare!”
Il coraggioso menestrello che aveva preso parola era un giovincello che rispondeva al nome di Piripacchio di Domodossola.
“Hai fegato ragazzo!” Disse il Re, sventrandolo con un pugnale dalla punta ricurva ed estraendogli quell'organo dal petto.

giovedì 24 settembre 2015

PORNOSAURI

La gazzella di Thomson si ciba di erba e di piccoli arbusti. Essa vive nelle savane e nelle pianure dell’Africa, principalmente nel Serengeti, regione a cavallo tra il Kenya e la Tanzania. L’esemplare che state ammirando adesso, però, è stato cresciuto in cattività nel vasto parco prospicente al castello della famiglia Angela.
Addentriamoci ora nell’antico maniero sabaudo, tramutato in una confortevole residenza privata dagli anni ottanta del novecento. Nel grande salone barocco sono ammassati i tesori che la famiglia Angela ha depredato in anni di attività documentaristiche in giro per il mondo. Ai piedi di un’enorme statua a mezzo busto del faraone Ekhnaton, tra due colonne di stile corinzio, c’è un pianoforte. Mani di vecchio, ma non mani callose, accennano un motivetto facilmente riconoscibile: l’Aria sulla quarta corda (il secondo movimento della suite orchestrale n. 3 in Re maggiore) di Johann Sebastian Bach, nell'arrangiamento degli Swingle Singers. Quand’ecco… una nota stonata.

“Non ho più il tocco di una volta!”
Piero Angela, il noto divulgatore, si schermisce con perfetto autocontrollo e compassata cordialità.
 “Balle! Sei sempre un drago, papi!”, dice Alberto Angela, il noto figlio del noto divulgatore Piero Angela e dell’altresì nota scrittrice Lansbury Angela, la Signora in Giallo.
“…Lo dimostreremo, ancora una volta!”
L’ultimo ad aver parlato è Paco Lanciano, grande amico della famiglia Angela. Noto scienziato e fisico dal fisico tisico. Insomma, un valido fisico nonostante il fisico da sollevatore d’ipotesi.
Piero, Alberto e Paco sono i volti più noti del notissimo programma “Superquark”, che va in onda imperterrito sulla tv nazionale fin da prima che io nascessi.
“Sono vecchio, ed è giunto il momento che mi ritiri!”
“Che cazzo dici, papi? Dati auditel alla mano, noi facciamo soldi a palate. Il pubblico ti ama!”, afferma Alberto, prendendo il barattolo delle pillole.
“Ecco un bicchiere d’acqua! Manda giù tutto in un colpo!”, incalza il premuroso Paco, pensando “Ci mancherebbe solo che il vecchio ci piantasse in asso… è la nostra macchina-caga-soldi!”
La pillola va giù, ed è il triplo del dosaggio che si usa per sedare i cavalli, o le gazzelle di Thomson. Piero Angela, docile, si siede sulla poltrona Pouf piazzata vicino al busto in porfido dell’Imperatore Massimino Trace.
“Devi troppo stare a sentire che idea maraglia abbestia abbiamo avuto io e Paco, papi!”
Piero Angela, bava alla bocca, annuisce telecomandato.
“Le scopate!”, “Un documentario sui dinosauri!”, dicono contemporaneamente Alberto e Paco.
“Eh?” sbiascica Piero.
Paco Lanciano, che nel frattempo si è servito un cordiale, prende parola, piazzandosi teatralmente al centro del salone.
“Faremo un nuovo, meraviglioso, documentario sui dinosauri. La gente ama i dinosauri, che sono tornati recentemente alla ribalta dopo l’ultimo film prodotto da Spielberg. E sapete cos’altro piace, al telespettatore medio?”
“Le scopate!”, completa Alberto, col pugno alzato.
“Esatto. Dinosauri e Scopate, il pubblico vuole questo e noi glielo daremo. Faremo una serie di documentari-porno-amatoriali con i dinosauri. Con rettili giganti e vere puttane. È un altro approccio alla divulgazione scientifica, un modo moderno di fare televisione!”
“Praticamente, papi, sarai il commentatore autorevole dietro queste scopate interracial. T’immagini? Maggiorate umane, milf e redhead, con lunghi lucertoloni preistorici… Cosa ne dici?”
Nel frattempo, il vecchio presentatore è stato vinto dal potere narcotizzante delle droghe farmaceutiche. Probabilmente ignora che quel traviato del figlio e quell’infame dell’amico hanno già firmato il contratto con una tv via cavo per soli adulti, per una miniserie intitolata “DINOEROTICA”, di cui vi trasmettiamo in anteprima l’episodio pilota.


EPISODIO 1: JURASSIC PORN

Stegosauro. Il suo aspetto massiccio e la sua corporatura tozza lo rendono un amatore rude e possente. Ha due cervelli, ma sono sempre annebbiati come quelli di un serbocroato imbevuto di alcolismo. Lungo il collo, il dorso e la coda, ha una serie di placche ossee alte fino a un metro, tutte erette e turgide, che usa per minacciare i rivali o come paraboliche per captare la diretta di Sky Sport quando gioca la Giùventus. Questo partner dai modi brutali non si fa scrupoli nell’usare il "thagomizer”, una mazza ferrata che possiede nella parte finale della coda, per sottomettere la partner e obbligarla a prestarsi a pratiche anche umilianti come l’ingoio.

Pteranodonte. Rettile volante piccolo ed esile, che si atteggia da bulletto. A letto è un amante da non sottovalutare, anche in virtù della sua agilità e della lunga cresta ossea che ha sul capo, con la quale può soddisfare le voglie piccanti delle partner più libertine. Dopo la copula però, di solito si volatilizza.

Triceratopo. Una delle caratteristiche più stuzzicanti dei dinosauri da letto è che sono pieni di corna, creste ossee, placche e ogni sorta di protuberanze rettili erettili, che li rendono praticamente dei sexy toys viventi. Il triceratopo è l’animale ideale per chi volesse praticare un threesome, il sesso a tre. Le sue maestose corna, infatti, possono soddisfare ben più di un orifizio contemporaneamente.

Brontosauro. Chi ha detto che le dimensioni non contano? Il nomignolo “Collo Lungo”, affibbiato a Piedino da alcune esperte frequentatrici di gigolò giurassici, mette subito in chiaro la prodigiosa virtù di questo lucertolone preistorico. Un metro di dimensione artistica, care signore. Avrete argomenti per arringare le amiche per i prossimi cent’anni.

Tirannosauro. Vorace predatore e dongiovanni incallito, fa bella mostra della sua testa eccezionalmente massiccia, lunga fino ad un metro e mezzo. Se state pensando che con una boccaccia così questo sauro possa essere un esperto conoscitore dell’arte sublime del cunnilingus, commettete un errore. Il tirannosauro possiede 30 denti seghettati nell’arcata superiore e 28 in quella inferiore, caratterizzati da un’elevata eterodonzia e tutti piuttosto acuminati. Ciò rende la pratica sessuale sopraccitata particolarmente sgradevole per la partner. Inoltre, come dice il nome, il sauro è un “rettile tiranno”, egoista e propenso a soddisfare esclusivamente le proprie voglie. Va anche detto che quest’animale possiede degli arti superiori estremamente corti, che gli rendono impossibile l’auto-da-fè. Egli vaga pertanto, sempre infoiato, per le ampie distese della Pangea, e non è raro sentirlo ruggire di rabbia repressa per le pulsioni insoddisfatte. Le donne che dovessero malauguratamente innamorarsi di questo bestione inappetente, faticheranno non poco a tenerlo a bada.

Keith Richards. Questo dinosauro è un chitarrista e compositore, membro fondatore dei Rolling Stones. Dotato di una personalità forte e trascinante, conduce una vita frenetica, caratterizzata da eccessi continui con droghe, alcool… e donne, naturalmente. Facendo sesso con un esemplare di Keith Richards maturo, la partner potrebbe subire brutalità di ogni sorta, ed è pertanto sconsigliato di approcciare questo rettile sprovvisti di ginocchiere, parastinchi, paragomiti e parapolso, pettorine e paraschiena. Un rapporto non protetto potrebbe costarvi assai caro.

Velociraptor. Amante dal carattere volubile, può diventare violento quasi quanto un Keith Richards. Il Velociraptor è soprannominato “Piè Veloce” per le sue deludenti performances da eiaculatore precoce. Sconsigliamo questo animale come partner fisso, ma potrebbe sorprendere nel sesso di gruppo e nelle gang bang.

Iguanodonte. Nella lista dei più belli della classe redatta dalle ragazzine alle elementari, era sempre all’ultimo posto. Questo solitario bestione, certamente non avvenente né estroverso, è il più dolce tra tutti i dinosauri. Durante l’accoppiamento, privilegia il godimento della partner, con la quale è prodigo di attenzioni anche fuori dalla camera da letto. Per le ragazze in cerca di un’avventura da una botta e via, è sconsigliato frequentare un iguanodonte, potrebbe diventare troppo appiccicoso o addirittura vestire i panni dello stalkerodonte.

Nella prossima puntata di SuperPornoQuark:
“Malattie sessualmente trasmissibili, come riconoscere lo Scolosauro”
"Mammuth che si depilano, l'ultima moda tra i pachidermi preistorici"
“Sedici anni e incinta di un Pachicefalosauro, se nasce maschio lo chiameremo Pasquale”

venerdì 18 settembre 2015

SASSI: LA SERIE

SASSI, trailer 1


SASSI, trailer 2

SASSI, trailer 3

SASSI, trailer 4 aka
SASSI TROPPO SESSUALI

STONES, trailer

Martin Scorsese parla di SASSI
del Maestro Vantin

LA SCIAMATURA DELLE TERMITI

(Estratto dalle prime tavole de "La Battaglia del Termitaio", attualmente in lavorazione!) 




La fondazione delle società degli Isotteri può avvenire tramite la Sciamatura. Il volo (prenuziale) fuori dal Termitaio, non porta le Termiti troppo lontano o troppo in alto, a meno che non siano aiutate dal vento. Solo una piccola parte di esse, inoltre, si salva perché la maggior parte vengono divorate da artropodi vari, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi ed anche dalle popolazioni indigene.

giovedì 17 settembre 2015

SE VANTIN NON VA SUL MONTE DOVRE È LA FINE DEL MONDO

Una volta Vantin volò sopra una pannocchia e decise di passarci la notte. Mentre era là, sognò che doveva assolutamente andare sul monte Dovre, altrimenti ci sarebbe stata la fine del mondo. Allora si precipitò giù dal rasoio, si mise un po’ di buchi in tasca e partì.
Strada facendo incontrò una anguilla.
- Salute a te, anguilla anguilletta! – fece Vantin.
- Salute a te, Vantin, dove vai così a zinzin?- chiese l’anguilla.
- Devo correre sul monte Dovre ché altrimenti viene la fine del mondo! – rispose Vantin.
- E come lo hai saputo, Vantin? – chiese ancora l’anguilla.
- Ho avuto un sogno stanotte, mentre dormivo sopra un girasole! – rispose Vantin.
- Voglio venire con te! – disse l’anguilla risoluta.
Strada facendo incontrarono una bottiglia di spumante.
- Salute a te, spumoso spumante! – disse l’anguilla.
- Salute a te, anguilla anguilletta, dove vai così di fretta? – chiese la bottiglia di spumante.
- Devo correre sul monte Dovre, altrimenti viene la fine del mondo! – rispose l’anguilla.
- E come l’hai saputo, anguilla anguilletta? – chiese ancora lo spumante.
- Me lo ha detto Vantin! – rispose l’anguilla.
- E tu come lo hai saputo, Vantin? – insistette lo spumante.
- Ho avuto un sogno stanotte, mentre dormivo sopra uno spazzolino da denti! – rispose Vantin.
- Vengo anch’io con voi! – esclamò lo spumante.
- Va bene! L’etichetta esige che l’anguilla sia accompagnata dal vino bianco! – fece Vantin.
Lungo la strada Vantin accese un fuoco con un bel mucchio di diamanti e il calore fece assopire i compagni di viaggio. L’anguilla si rincantucciò per schiacciare un pisolino, lo spumante si appollaiò invece su di una pertica. Dopo un po’ Vantin afferrò l’anguilla, la mise sul fuoco e l’arrostì per benino. Lo spumante avvertì la puzza di bruciato e volò su una pertica più alta dicendo:
- Ma che puzza!
- Che stupidaggini!- Fece Vantin. – E’ il fumo del pranzetto che sto preparando, dormi e non te ne preoccupare!
Così lo spumante si riaddormentò. Dopo aver mangiato l’anguilla, Vantin afferrò lo spumante e lo vuotò in un solo sorso.

- E ora, compagni, dopo esserci rimpinzati, partiamo verso il monte Dovre, o verrà la fine del mondo! – disse Vantin, ma per i suoi amici era già troppo tardi.


RAGAZZA DI EST CERCA UOMINI SOLI SOTTO FOLTI BAFFI SCURI

Mio nome è Ramona Bulat, e mia bottiglia di samagonka è vuota. Oggi è giorno brutto come faccia di zingaro, con cielo scuro e nuvole grosse come smagliature su culo di sposa.

Ascolta mia storia o ti spacco la bottiglia in testa e con i cocci ti stacco gli occhi.

Io vengo di Moldavia. Quando mia madre sgrava di me, sgrava anche vecchia asina che si diceva non poteva più fare figli, e allora c’è grande festa in tutta Tiraspol. Si dice “Questa è nascita fortunata, questa diventerà grande personalità in Moldavia”, infatti figlio di asina è poi diventato Presidente di Repubblica molto amato da tutti. Io invece sempre fatto la fame e preso bastonate, così sono cresciuta forte e coi giusti principi. Io fatto prostituzione dell’obbligo fino a maggiore età e poi io sposata a un pastore. Avevo più bel culo di Tiraspol, ancora non tutto sfondato perché roba sovietica è roba che dura.

Infanzia in Tiraspol


Mio matrimonio con pastore Borv è grande super festa a Tiraspol. Molto meglio di brutte feste italiane con petardi e fuochi d’artificio. Sindaco di paese, spara veri razzi regalati da Stalin e incendia un fienile uccidendo sei mucche e due contadini che erano andati a fare fik fik tra la paglia. Alla mattina di giorno dopo, pastore Borv è così ubriaco che lui incula vecchia asina, e io è così ubriaca che non mi offende per il fatto che pastore Borv non s’è accorto di differenza.
Poi il giorno dopo, pastore Borv e vecchia asina ritornati a fare fik fik e ci prendono anche gusto. Allora io picchia marito, poi marito picchia me, poi io picchia asina, asina picchia marito, marito picchia tutti con martello, e poi prende me e impicca ad albero in giardino e questo io interpreto come crisi coniugale, e fa divorzio.

Uomini di Moldavia tutti stronzi. Io crede che uomini di Italia non è stronzi come uomini di Moldavia, allora io emigra in Italia. Io percorre tutta strada a piedi, perché in Moldavia nostro Presidente asino ha fatto legge che abolisce la ruota, e io rispetta tradizioni di mio paese, quindi io no prende veicoli con ruota illegale. Appena io arriva in Italia, uomini d’Italia tratta me come una straniera, quindi io capisce che uomini d’Italia è tutti stronzi.
Per vivere dò un po’ la fica in cambio di cibo e uomini d’Italia tratta me come una puttana. Uomini d’Italia è molto più stronzi di uomini di Moldavia.

Tu ascolta me, brutto faccia di merda, o io schiaccia tua testa come noce tra mie grosse tette.
Mia storia arriva al punto in cui io è in Italia. Io stanca di mangiare poco cibo e tanti cazzi di uomini italiani stronzi. Io decide, quindi, di seguire vocazione che tutte noi donne di Moldavia ha: io diventa badante.

Io trova un mio vecchio. Mio vecchio è uomo italiano con cazzo moscio e denti tutti finti in bocca, come se zingari hanno rubato lui dente d’oro ma non si sa mai, prendiamo anche tutti gli altri che facciamo giornata.
Mio vecchio è tutto pieno di rughe e con pochi capelli in testa, lui è fermo fuori dal negozio di farmacia, perché puttana di Romania va a comprare sue pillole, poi dice che torna.
Mio vecchio non si muove con piedi, ma ha ruote di carrozzina. Io guida mio vecchio lontano di puttana di Romania senza che lei se ne accorge, e da quel momento lei ha perso vecchio che diventa mio vecchio MIO.
Vecchio urla “lasciami andare! Aiuto! Mi rapisce!”. Io non capisce cosa cazzo dice perché non so l’italiano, perché io parla moldavo, rumeno e linguaggio delle capre, imparato quando stavo a Tiraspol.
“Tu no urla, vecchio di merda!”, io dice con pazienza. “Tu caga, io cambia, tu ricaga, io ricambia, poi tu paga!”.
Dopo che io spiega le regole, io ha lavoro di badante. Io fa anche palpare tette a vecchio se lui fa il buono. Tette sì, fica no. Io è badante, no puttana, no rumena.

Ora noi è arrivati al motivo per cui io raccontato te tutta mia storia di mia vita. Dopo due anni da badante per mio vecchio, oggi lui muore. Io pulito tutte sue cacche e sempre dato cibo e annaffiato lui così cresce. Io un po’ triste, perché io passato tanto tempo con lui e lui mai ha picchiato me con cocci di bottiglia, mattoni, bastone, mai lui voluto impiccare me, mai lui butta sigarette negli occhi, lui no violenta me, lui no dice “zitta puttana!” o vende miei organi a zingari. Lui non ha mai fatto nessuna di queste cose che in Moldavia fanno gli uomini quando sono riconoscenti o innamorati. Io molto arrabbiata, vecchi italiani è tutti stronzi.

Io molto ho cercato di fare che mio vecchio sposa me. Io sposa per mettere in regola permesso di soggiorno, per far venire mia madre da Tiraspol, e mia zia Olga, e il figlio di mio fratello Olav che è sordo perché gli è esploso un razzo vicino a orecchi il giorno del mio matrimonio.
Io volevo sposare mio vecchio ma adesso lui è duro come cazzo di zingaro arrapato davanti a una sacca d’oro, io no posso sposare mio vecchio morto.

Oggi è giorno di schifo come paese di Romania o come baffi degli uomini d’Italia. Schifo. E mia bottiglia di samagonka è vuota.

E tu che cazzo hai da guardare? Io ho detto mia storia della vita, no voglio sapere tua vita di merda. E poi, io non ho tempo da perdere. Devo cercare un mio vecchio nuovo o almeno un uomo con i baffi che mi picchi e mi dia cibo. Và via.


Uomini d’Italia non capisce un vladrobzko.


mercoledì 16 settembre 2015

LEPORIDI LASCIVI

È quasi primavera. Tra non molto, tutti gli animali della foresta incominceranno a imitare i ricci, fottendo appunto come i suddetti.
Dal canto loro, i ricci si metteranno a fottere come conigli.
I conigli, supremi conoscitori dell’arte dell’animal love, si dedicheranno a lussuriose gang bang coinvolgendo intere conigliere. Praticheranno l’Interracial inculando le marmottine.

Ricordate il leprotto Tamburino? Quello noto per le dimensioni spropositate del suo membro, che sbatte con violenza sugli alberi della foresta… beh, il vispo leporide ha drogato Bambi col Rohypnol, e l’ha lungamente seviziato prima di lasciarlo esangue davanti al rifugio Vittoria, dove è finito col diventare il condimento di un’ottima polenta.


MIDGET

PROLOGO

Il racconto che segue è un brano scartato dal Bardo Thodol ("Suprema Liberazione con l'Ascolto"), meglio noto nei paesi occidentali come Libro Tibetano Dei Morti, un testo funerario. Poiché la tematica trattata (nella fattispecie, la morte) è un argomento decisamente serioso, penso che sia il caso di sdrammatizzare. Ecco per voi un Prologo con il piccolo Mister Pinko. “Mister Pinko, mi sente?”
“Forte e chiaro, Narratore Principale!”
“Mister Pinko tu sei il nano del Circo Bidoni, arrivato da poco in città. Ho visto il tuo spettacolo l’altra sera, quello dove cavalchi un pony e vieni preso a pasticcini in faccia dagli altri clown, molto divertente!”
“Ne sono lusingato!”
“Vuoi spiegare, buffo piccoletto, quale sarà il tuo ruolo all’interno di questo racconto?”
“Beh, intanto grazie per avermi concesso la possibilità di esprimermi, sarò breve come... ehm… io sono sempre breve…”
 “Ah ah ah, troppo divertente. Grazie nanetto… adesso posso cominciare il racconto principale. Io vado, eh…”

VECCHI CHE MUOIONO

Querceto Piccolo Sul Pinolo era un paesino di venti anime e un circolo per anziani, situato adiacente alla piccola chiesetta di legno intagliata nel tronco della quercia centenaria che della zona era vanto. Il giovane Vladimiro Chiappa, protagonista di questa storia, non era però di Querceto Piccolo: egli veniva da Pian Del Cocomero Turrito. Tutte le mattine, l’intraprendente Vladimiro Chiappa partiva da casa, un'umile costruzione fatta di molliche di pane e filtri di sigarette, e percorrendo via della Fustigazione (35 Km), s’inerpicava sul ripidissimo Monte Del Chiurlo (12 Km), per raggiungere la pieve di Querceto Piccolo Sul Pinolo, giusto in tempo per indossare la tunica bianca da chierichetto e prendere parte alla messa delle sette e mezzo di sera. Alla messa partecipavano tutti e venti i devotissimi abitanti di Querceto Piccolo. Sommati tutti assieme, gli anni degli abitanti di Querceto Piccolo erano 1746 (se ho fatto bene i conti). L’anziano parroco Adelchi aveva novantatré anni e viveva sul ramo più grosso e robusto della quercia centenaria. Alvaro, grazie ai suoi ottantacinque anni ben portati, era il più giovane e quello più in salute, avendo avuto solo due infarti. Arturo, che era sordo, Aldo il gobbo e Alfonso detto “Il Prostata” avevano novantadue anni ed erano gemelli, ma non fratelli: i loro fratelli perirono in guerra, rendendo quindi i tre vecchietti, dei doppi sdoppiati! Agostino, Ambrogio, Armando, Antonio, Adolfo, Attilio e Amilcare erano gli unici sopravvissuti della 5°A di cento anni fa, e avevano tutti centoundici anni. Il più anziano del paese era Arnoldo, che a luglio avrebbe compiuto centoventidue anni. Astolfo, Annibale e Adornato avevano novantanove anni, Amos, Attila, Arrigo e Alfredo ne avevano invece novantotto e canzonavano i loro amici novantanovenni perché sarebbero morti prima. Quel giorno però, alle sette e mezzo di sera, toccò ad Ambrogio morire. Poco dopo che Don Adelchi aveva dato inizio alla celebrazione, Ambrogio si accasciò e morì con compostezza.
- Ehi, quello non si sente bene!- disse Vladimiro Chiappa, interrompendo il sacro rito.
- E’ vero, qui non si sente bene! Parlate più forte!- disse Arturo, il sordo.
- Ok, sono morto, adesso andate avanti!- fece Ambrogio. Poi tornò ad accasciarsi.
Don Adelchi celebrò un commuovente funerale, e tutti i suoi amici dissero parole toccanti. Alle nove di sera finì la messa, e i venti pensionati, compreso Ambrogio, si recarono al circolo per giocare a carte.
- E’ stato un bel funerale. Quando succede davvero, voglio più lacrime da parte tua, Aldo!- disse il morto, dando una pacca affettuosa sulla schiena del gobbo.
- Domani tocca a me, anch’io voglio far le prove del mio funerale, mi piacerebbe che tutto fosse impeccabile!

Il gioco preferito dai vecchi abitanti di Querceto Piccolo Sul Pinolo era simulare il proprio funerale: da questo gioco Vladimiro Chiappa era sempre escluso e lui ne era amareggiato e deluso. Anche quando i quercetesi giocavano a carte o a bocce, Vladimiro non era mai invitato. Quel giorno Vladimiro Chiappa prese tutta la delusione e l’amarezza che aveva e ci fabbricò una robusta corda, per impiccarsi meglio.

lunedì 7 settembre 2015

MARTINO K

La pagina si era già macchiata, principalmente con il titolo, quando le parole vollero finalmente disporsi perlomeno in fila in modo da formare le righe, appunto. Righe che erano da leggere, quelle un po’ nere con del bianco in mezzo, e altre che si potevano volentieri ignorare poiché proprio tutte bianche. Date le ridottissime dimensioni delle sopraccitate, il salto della riga era praticato a colpo d’occhio e l’asta che sovente si usava per saltare, era la pagliuzza serbata nella cornea (alcuni hanno una trave e sono avvantaggiati). La vicenda argomentata faceva il resoconto delle facezie di tale Martino Khrwz, che volle rimanere anonimo sebbene il suo cognome fosse composto prevalentemente da consonanti.

LE FACEZIE FRULLOSTREPITOSE DI TAL MARTINO K.

Quel martino, Mattino si svegliò più dislessico del solito e scese a bersi una scatola dei suoi cereali preferiti, che inzuppò nel latte rancido pisciato dal lattaio che lo beveva di nascosto. Costatato il sapore cartaceo della scatola di carta, concluse che i suoi cereali preferiti d’ora in poi sarebbero stati i cereali Hellog, fabbricati in scatole di ghisa. La ghisa piaceva molto a Martino perché tutti i padri che aveva avuto prima di nascere orfano erano stati muratori, e gli avevano insegnato le cose del mestiere, come fare palloncini con la ghisa dopo averla masticata, le bolle di ghisa e i gelati di ghisa. Martino sognava di fare il muratore o per lo meno il carpentiere, faceva tutte le notti sogni di ghisa e fantasticava specialmente di possedere una bellissima betoniera blu, vrooombolante ghisa tutti i giorni, ghisa che si avvilupettava sconquascendosi come se ballasse un valzer di ferro fuso. Purtroppo il mestiere di Martino era il Presidentedellarepubblica, e sebbene fosse una qualifica dal nome più lungo e con tante lettere, la cosa non lo gratificava per niente. Il Presidentedellarepubblica doveva cambiare i cognomi della gente, oltre che presiedere una Repubblica. Martino aveva cambiato molti cognomi:
Ramseti in Sorrentino;
Scatarracinesca in Pizzighettone;
Facciadaculo in Santabrigida;
Cagadenaro in Sanfranceschi;
Torcibue in Celentano;
Piotrilichciaicovschi in non mi ricordo;
Zinzin in Vanfin in Vantim in Vanpin in Vantin in Debora;
Fanculo in Forgiaderetano…

Naturalmente Martino aveva cambiato numerose volte anche il suo cognome e decise di cambiarlo di nuovo, diventando Martino Barbadelprofeta. Arrivò il solito furgone rosa a prelevarlo. Martino andava a fare il Presidentedellarepubblica col furgone rosa, e tutte le mattine cantava “All we need is love” cambiando una parola (“love” con “ghisa”), e quindi era più corretto dire che cantava “All we need is ghisa”.  L’ufficio da Presidentedellarepubblica di solito aveva l’aria incondizionata, un buon aroma di caffè mocaccino e le lingue degli adulatori ben incollate sulle poltroncine dove sovente si sedeva Martino. Martino si sedette su due leccaculo che volevano dei soldi e iniziò ad appuntarsi frasi oscene sulla sua cravatta con una penna viola limone.
- Le faccio portare la sua segretaria tailandese minorenne, signor Dellarepubblica?
- Non oggi! -, cantò Martino in aramaico a una specie di scopa con gli occhiali con un brufolo giallo sulla fronte.
- Se vuole giro il quadro del papa e copro quello della sua signora madre e poi le porto la segretaria slovacca, che tra le tante è la più vacca!
- Non oggi! -, martineggiò Martino, che era leggermente pensieroso. Ordinò alla scopa di schiacciarsi il brufolo che esplose con fragore nell’ufficio così ordinato, cospargendolo di pus, e provocando tsunami di vomito degli archivisti che archiviavano archibugi in un archivio poco distante ed erano delicarchiviati di stomaco. Ci furono dei morti ma si deve pur morire, prima o poi.
Martino si stava annoiando e decise di fare una guerra. Tra le mansioni del Presidentedellarepubblica, oltre cambiare i cognomi e presenziare, c’erano altre cose che si potevano ma non si dovevano fare: tra di queste, la guerra. Martino non aveva mai dichiarato una guerra ed era parecchio curioso di cosa sarebbe successo. Decise che sebbene fosse una cosa che poteva fare ma non doveva fare, l’avrebbe fatta comunque, perché se avesse potuto fare il muratore ma non avrebbe dovuto farlo, l’avrebbe fatto, infischiandosene. Chiamò allora alcuni altri Presidentidellarepubblica:
Quello della Nordegia gli disse che non voleva guerreggiare.
Quello della Gran Bertagna gli disse che non era al momento raggiungibile.
Quello degli Stati Unti stava facendo la guerra alla Mestopotamia.
Quello della Mestopotamia stava facendo la guerra agli Stati Unti.
Quello dei Paesi Balzi gli disse che avrebbe voluto fargli la guerra, ma era già impegnato con quelli della Diarrea del Nord. Siccome ormai, a detta dei balzici, ci mancava poco e la guerra la vincevano pure, allora sarebbe toccato fra poco a Martino, ma quegli altri assicuravano che non era vero niente e stavano vincendo loro, quindi magari doveva passare ancora un bel po’ di tempo prima che si potesse seriamente pensare di fare la guerra.

Martino si mise in lista d’attesa per fare la guerra ai Paesi Balzi e si cambiò il cognome in “Eh?”, prefigurandosi in seguente scherzo:
- Come vi chiamate, signor…?
- Eh?
- Ho chiesto come vi chiamate!
- Eh?
- Qual è il vostro nome? Siete il signor…?
- Eh?
- Signor…
- Eh?
- Ma siete sordo? Vi ho chiesto come vi chiamate!
- Sono il signor Martino Eh?
- Martino? Non so, mi dica lei… Martino…
-Eh?
(E così via di seguito)

Martino guardò alla finestra, poi l’aprì e vide anche quello che c’era fuori, nonostante lo sospettasse: il cielo era sempre lì. Nel cielo si sfittigaronbolavano alcune nubi cariche di pittirigognoli di pioggia e sembravano tante betoniere macinaghisa. Immaginò di essere su un’isola De Serta (un cognome che gli piacque e del quale subito si appropriò), un’isola di ghisa in un mare di bitume, con alberi palmati e noci di coccio, con la Scopa Con Gli Occhiali tutto nudo che accende il fuoco sfregando il suo brufolo contro l’escrescenza purulenta sul sedere della segretaria slovacca. Ah, come sarebbe stata bella la vita su un’isola di ghisa! Mentre questi pensieri sentimentali ronzavano nel capo del Capo (ovvero Martino), arrivò un Cancro, che bussò prima di entrare ma quando entrò, ormai era troppo tardi.
In punto di morte, Martino fece il testicolo delle sue ultime voluttà, per distribuire ai parenti e agli amici più infimi le cose più importanti che possedeva:
Un salvadanaio di ghisa alla madre Bruna;
Un nano da giardino di ghisa allo zio Bruno;
Un colino di ghisa al cugino Lino;
Un fermacapelli di ghisa e un fermacarte di ghisa all’inferma Zia Lina;
La carica di Presidentedellarepubblica e tutte quelle cose che non gli importavano più di tanto toccarono invece alla Scopa Con Gli Occhiali, che stranamente apprezzò di buon grado.

Martino aveva un modo strano di morire, infatti si era messo in testa che voleva morire a testa in giù e nonostante Bruno, Bruna, Lino, Lina, Vincenzo, Borromeo, Franco, il vicino di Franco, la Marta, Piero e suo fratello cercassero di persuaderlo a morire in modo più convenzionale, lui non voleva sentir ragione.
-Beh, almeno ha accettato di farsi confessare da un prete cattolico!-, disse la madre di Martino che era molto devota e non faceva mai orge e riti satanici la domenica mattino.
Il becchino aveva già finito la lapide (intestata a Martino De Serta), pensando che Martino morisse il 31/1, invece trapassò due giorni dopo e lui dovette rifarla. Il becchino si lamentò col Sindacato che indisse uno sciopero, che sfociò in una protesta violenta, che venne enfatizzata e finanziata da spie dei Paesi Balzi e allora scoppiò la guerra con i Paesi Balzi. Ovviamente questi ribelli perdettero e diventarono tutti schiavi dell’ex paese di Martino, e finirono a scavare miniere di ghisa nelle colonie su Urano della Scopa Con Gli Occhiali. Morirono tutti tra fatica e stenti.

Sulla tomba di Martino (con lapide in ghisa) regna ancora imperituro il seguente motto:
“O LA GHISA O LA MORTE!”

Che uomo stupendo.

E ora qualcosa di completamente diverso: