mercoledì 20 gennaio 2016

VANA SPAGNA

È lunedì mattina e la Spagna è sparita. L’intera nazione comprese le isole, la sera precedente c’era e ora non più. La Francia ha un grosso strappo sui Pirenei e nel bel mezzo dell’oceano Atlantico galleggia abbandonata l’isola del Portogallo.
Se la Spagna è sparita, gli spagnoli non sono certo più ritracciabili. Sono scomparse le isole Canarie, le exclave di Ceuta e Melilla, le isole Selvagge vicino a Madera, la famiglia reale, la bandiera con le due strisce rosse e quella gialla, il castello d’oro della Castiglia, il leone rampante color porpora del León, il melograno di Granada, lo stretto di Gibilterra esclusa Gibilterra, i mariscos, le olive verdi e nere, il Pincho e le Tapas, il prosciutto Jamón Serrano, la paella di Valencia, la zuppa d’aglio e il gazpacho andaluso, il cocido di Madrid, il pisto manchego, i vini di Jerez, la sangria, lo spumante della Catalogna, i mulini a vento di Don Chisciotte, la spada del Cid, l’acquedotto di Segovia, la statua dell’Orso e del Corbezzolo a Puerta del Sol, l’Alhambra, le spiagge, le case, i tetti, i tergicristalli delle Seat, i gatti, i baffi, i sassolini delle scarpe, i turisti, la Sagrada Familia, i tori, le vacche, i Gonzales e i Ramirez, i quadri di Picasso e di Dalì, i segnali stradali, le strade e tutto il resto.
C’è un gran fermento in tutto il mondo, i giornalisti si sprecano con i titoli più apocalittici, “Sono stati gli Alieni?” oppure “Una nuova arma di distruzione di massa minaccia il mondo?”
Gli specialisti parlano di collasso geologico, di un’enorme dolina, ma poi smentiscono tutto. Non ci sono crolli, non si è avvertito nessun boato. Nel fondale marino, nessuna faglia, nessuna spaccatura che confermi uno spaventoso risucchio. Lasciamo ai politici e agli opinionisti i dibattiti, e le vuote chiacchiere ai bar sport: nessuno riesce a spiegare quello che è sotto gli occhi di tutti. La Spagna non esiste più.
Sono quasi le dieci del mattino e Juan Pierre, un impiegato franco-ispanico della dogana di Hendaye, sta facendo colazione seduto al solito tavolo del solito bar, mentre contempla il nuovo grande mare che ha spaccato in due il Golfo di Guascogna.
Juan Pierre, sguardo assente e cannuccia conficcata tra le labbra, sorbisce il suo frappè all’avocado, mentre la cameriera arriva con il croissant. Il doganiere, che ha realizzato di essere appena diventato disoccupato, è un perfetto meticcio: madre francese e padre spagnolo, indolente spagnolo e spavaldo francese, è uno champagne mescolato alla sangria.
Il padrone del bar invece è un vecchio basco con la faccia piena di rughe e le mani pesanti e callose. Pulisce il bancone e mugugna “brutta storia, brutta storia”, non sa cos’altro aggiungere e forse per lui è proprio una Brutta Storia perché i Paesi Baschi sono scomparsi insieme alla Spagna, un’insopportabile beffa per un fiero indipendentista come lui.
Juan Pierre però non lo ascolta. Non può fare a meno di pensare a quello che ha lasciato dall’altra parte della frontiera.
Ramona è di Irún, sul versante spagnolo. Anche Ramona è ovviamente sparita nella notte.
A Juan Pierre non importa già più del paese scomparso, della sua mezza patria. Pensandoci bene, non gli sono mai piaciuti il parco Güell, le corride, il Real Madrid e neanche quel suo squallido posto di lavoro alla dogana. Lui rivorrebbe solo Ramona tra le braccia.
Lei però se n’è andata senza dire niente.
Juan Pierre ha solo questo pensiero fisso nella testa.

E tutto il resto, improvvisamente, scompare.

sabato 16 gennaio 2016

DIO HA FATTO L'UOVO

L’uomo non riesce a prendere sonno. Coricato sull’umido pagliericcio, fissa le fenditure tra le marcescenti travi di legno, scorgendo le stelle e la pallida luna, che illumina quella notte silenziosa di una tenue luce argentata.
Sua moglie Maria è raggomitolata alla sua destra: ringraziando Dio, sta dormendo il sonno dei giusti, stremata dopo la fatica di quel parto miracoloso e bizzarro.
Adesso l’uomo, che come avrete intuito è Giuseppe, si gira su un fianco e fissa la mangiatoia.
Nella mangiatoia, infagottato da vecchi stracci, c’è quel bambino che non è suo. Ormai la frittata è stata fatta, e non si poteva farla, la frittata, senza rompere un uovo, pensa Giuseppe, compiacendosi di aver trovato una metafora così calzante.

La donna sta sognando, ripensa ancora eccitata a quell’incontro, nove mesi prima a Nazareth.
Tutto era cominciato con l’arrivo di quel viandante biondo, che non poteva essere altri che un angelo. Il suo promesso sposo, Giuseppe, era al lavoro tra le seghe e le assi di legno, quando lei sentì bussare alla porta.
Maria aveva l’ordine tassativo di non fare entrare nessun uomo nell’intimità della sua casa, in assenza di membri della famiglia. Lui però non era un uomo, era un angelo. Pregò il magnanimo Padre Celeste perché gli concedesse giudizio, poi fece entrare lo straniero, che ristorò con il pane bianco e del vino.
Lo straniero si presentò come Gabriele, e disse di essere davvero un angelo. Lei, con le mani tremanti, versò altro vino.
“Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te!”, disse quindi l’angelo, e lei ne rimase turbata, domandandosi che significato avesse una tale riverenza.
“Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Allora Maria disse all’angelo, “Com’è possibile, non conosco uomo”. E lui rispose, “Lo Spirito Santo scenderà su di te…” e mentre ancora la lusingava, si tolse la tunica lacera e scoperse il suo busto nudo e poderoso, gli ampi pettorali, la schiena forte dalle cui scapole si dispiegavano due lunghe ali piumate.
Maria guardò con soggezione quell’essere mezzo uomo e mezzo uccello: guardò l’uomo, guardò l’uccello.
Quindi Maria disse, “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Così Maria si trovò incinta. Giuseppe, che aveva intuito qualcosa, non sapeva come comportarsi. Una notte, però, gli apparve in sogno un angelo del Signore, che gli disse, “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”.
Giuseppe aveva obbedito all’angelo, accettando la gravidanza di Maria.
Nel ventre della sua sposa bambina, erano riposte tutte le speranze per la salvezza dell’Umanità, l’aveva detto un angelo, un messo di Dio. E questo ventre cresceva senza fretta, dovettero passare diversi mesi prima che si notasse la rotondità.
In quei giorni dove Maria era attanagliata dai crampi e pervasa dalle nausee tipiche del suo stato, Giuseppe andava a sedersi in cortile, all’ombra verde delle foglie ruvide del fico. Lì, pregava e si forzava di credere alle parole dell’angelo. “Piaccia al Signore che sia un maschio, Emmanuele, Dio è con noi”, ripeteva tra sé e sé.

Passano i giorni, le settimane, i mesi, poi arriva la chiamata per il Censimento, e Giuseppe, con Maria ormai prossima al travaglio deve mettersi in viaggio, seguendo a dorso di mulo una piccola carovana diretta a Gerusalemme.
I due sposi si fermano a Betlemme, perché ormai è chiaro che Maria partorirà di lì a poco. Si sistemano in una capanna, che è la stessa nella quale si trovano ancora adesso, provvisoriamente accampati.
La levatrice è arrivata di corsa, “Presto, fate presto!” ha urlato Giuseppe, sempre più nervoso. Maria ha gridato, urla sovraumane da fare accapponare la pelle. Un’altra spinta ed ecco che è venuto alla luce, il neonato tanto atteso.
Con stupore di tutti, però, non s’è trattato di un bambino di carne e ossa, ma…
Un uovo.
Un uovo simile a come ci si può immaginare un uovo di un angelo. Quell’uovo si è schiuso poco dopo, e da sotto il guscio ha fatto capolino un bambino biondo come l’angelo, senza ali come Maria.
Licenziata la levatrice e addormentato il piccolo, posto il fagottino accuratamente in una mangiatoia, Giuseppe e Maria si coricano.
Lei, spossata, ma con un sorriso in volto.

Lui, pieno di dubbi sul sesso degli angeli. “Figlio di… Dio?”, ripete a se stesso.