È lunedì mattina e la Spagna è sparita. L’intera nazione
comprese le isole, la sera precedente c’era e ora non più. La Francia ha un
grosso strappo sui Pirenei e nel bel mezzo dell’oceano Atlantico galleggia
abbandonata l’isola del Portogallo.
Se la Spagna è sparita, gli spagnoli non sono certo più
ritracciabili. Sono scomparse le isole Canarie, le exclave di Ceuta e Melilla,
le isole Selvagge vicino a Madera, la famiglia reale, la bandiera con le due strisce
rosse e quella gialla, il castello d’oro della Castiglia, il leone rampante
color porpora del León, il melograno di Granada, lo stretto di Gibilterra esclusa
Gibilterra, i mariscos, le olive verdi e nere, il Pincho e le Tapas, il
prosciutto Jamón Serrano, la paella di Valencia, la zuppa d’aglio e il
gazpacho andaluso, il cocido di Madrid, il pisto manchego, i vini di Jerez, la
sangria, lo spumante della Catalogna, i mulini a vento di Don Chisciotte, la
spada del Cid, l’acquedotto di Segovia, la statua dell’Orso e del Corbezzolo a
Puerta del Sol, l’Alhambra, le spiagge, le case, i tetti, i tergicristalli
delle Seat, i gatti, i baffi, i sassolini delle scarpe, i turisti, la Sagrada
Familia, i tori, le vacche, i Gonzales e i Ramirez, i quadri di Picasso e di
Dalì, i segnali stradali, le strade e tutto il resto.
C’è un gran fermento in tutto il mondo, i giornalisti si
sprecano con i titoli più apocalittici, “Sono stati gli Alieni?” oppure “Una
nuova arma di distruzione di massa minaccia il mondo?”
Gli specialisti parlano di collasso geologico, di un’enorme
dolina, ma poi smentiscono tutto. Non ci sono crolli, non si è avvertito nessun
boato. Nel fondale marino, nessuna faglia, nessuna spaccatura che confermi uno
spaventoso risucchio. Lasciamo ai politici e agli opinionisti i dibattiti, e le
vuote chiacchiere ai bar sport: nessuno riesce a spiegare quello che è sotto
gli occhi di tutti. La Spagna non esiste più.
Sono quasi le dieci del mattino e Juan Pierre, un impiegato
franco-ispanico della dogana di Hendaye, sta facendo colazione seduto al solito
tavolo del solito bar, mentre contempla il nuovo grande mare che ha spaccato in
due il Golfo di Guascogna.
Juan Pierre, sguardo assente e cannuccia conficcata tra le
labbra, sorbisce il suo frappè all’avocado, mentre la cameriera arriva con il
croissant. Il doganiere, che ha realizzato di essere appena diventato disoccupato,
è un perfetto meticcio: madre francese e padre spagnolo, indolente spagnolo e spavaldo
francese, è uno champagne mescolato alla sangria.
Il padrone del bar invece è un vecchio basco con la faccia
piena di rughe e le mani pesanti e callose. Pulisce il bancone e mugugna “brutta
storia, brutta storia”, non sa cos’altro aggiungere e forse per lui è proprio
una Brutta Storia perché i Paesi Baschi sono scomparsi insieme alla Spagna, un’insopportabile
beffa per un fiero indipendentista come lui.
Juan Pierre però non lo ascolta. Non può fare a meno di
pensare a quello che ha lasciato dall’altra parte della frontiera.
Ramona è di Irún, sul versante spagnolo. Anche Ramona è
ovviamente sparita nella notte.
A Juan Pierre non importa già più del paese scomparso, della
sua mezza patria. Pensandoci bene, non gli sono mai piaciuti il parco Güell,
le corride, il Real Madrid e neanche quel suo squallido posto di lavoro alla
dogana. Lui rivorrebbe solo Ramona tra le braccia.
Lei però se n’è andata senza dire niente.
Juan Pierre ha solo questo pensiero fisso nella testa.
E tutto il resto, improvvisamente, scompare.
