Premessa. Come un
Gramsci o un Rustichello da Pisa qualsiasi, le righe che seguono le ho scritte
dal carcere.
22 aprile 2016, Istanbul. Mi trovo chiuso a chiave in una
cella grigia, senza finestre. Condivido questo squallore con due fratelli
marocchini e un hippy californiano. Uno dei due marocchini dorme su un
divanetto lurido, avvoltolato in una coperta di stracci. L'altro è in piedi,
scalzo sul sajjāda, e recita la preghiera notturna, il ṣalāt al-ʿIshāʾ.
Michael, l'americano, adesso è in silenzio perché aspetta
gli esiti della telefonata che gli hanno concesso di fare: "I know somebody
who knows somebody", mi ha confessato. Buon per lui.
Il bagno è completamente allagato e dalla turca turca(!)
intasata, sbuca minacciosa la testa di un mostro lovecraftiano, marrone e
mefitico. Trattenendo il respiro per i miasmi che si diffondono nel
claustrofobico bugigattolo, racconto a bassa voce all'annoiato Michael gli
avvenimenti che mi hanno portato fin lì.
La giornata è partita non proprio benissimo, dove con
"non proprio benissimo" intendo dire che alle 10.30, appena dopo la
colazione, sono stato coinvolto in un tamponamento multiplo. Ero ancora in
Italia, mi ero alzato presto per raggiungere l’Aeroporto Guglielmo Marconi di
Bologna, per partire verso la Turchia e trascorrere a Istanbul quattro giorni
di meritate vacanze. È successo tutto molto velocemente: la mia Yaris, con
indomito spirito da piccola utilitaria giapponese kamikaze, s’è lanciata contro
altri due veicoli, schiantandosi contro le mie speranze di cominciare nel
migliore dei modi il viaggio.
Dopo aver costatato amichevolmente che quel rottame della
mia auto poteva ancora portarmi all'aeroporto, seppur dolorante dopo lo
scontro, mi sono fondato a prendere l'aereo, che non ho perso per un soffio.
“Tre auto distrutte, compresa la mia.
Adesso cerchiamo di non guastarci le vacanze!”
Slacciate le cinture di sicurezza dopo un decollo senza
storia, ho smesso di pensare alla disavventura del mattino per gettarmi con i
pensieri nell’ebrezza della gioia del viaggio, nel fascino esotico che richiama
in me Bisanzio, e nel generoso decolleté di una delle hostess. Poi la splendida
creatura seduta nella poltroncina accanto a me si è presentata. “Sabrina”, ha
detto, e intorno a me, come in un miraggio, è spuntato l’Oriente dal sapore di
cumino e di cardamomo.
“Costantinopoli è una dama carezzevole con un neo sulla
guancia”, diceva Maometto II prima di mettere le mani sulla città nel 1453. “Una
dama carezzevole con un neo sulla guancia…”
Michael m’interrompe e mi saluta, la sua telefonata ha avuto
un esito positivo. La porta si apre ed è libero. Al suo posto, vengono condotti
nella cella un curdo visibilmente alterato e un ragazzino magiaro spaventato
come un agnellino a Pasqua. Nessuno di loro ha voglia di parlare, così torno a
perdermi nel ricordo della folle giornata, e ritorno a pensare a Lei.
Sabrina è bellissima. Bionda, con la pelle color ambra.
Afferma di essere di origine berbera al 100%, e scopro stupito che talvolta
capita, anche se non di frequente, che delle ragazze berbere nascano con i
capelli dorati. Dice di essere nata ad Algeri, e di aver trascorso l’infanzia e
l’adolescenza a Cartagine (non Tunisi). Poi è venuta a vivere in Italia, dove
lavora come interprete. Il suo accento è arabo, ma anche un po’ francese. Il
suo neo sulla guancia è una danzatrice del ventre che nella sua frenetica danza
esotica mi conquista e mi seduce. Dall’oblò dell’aereo ecco spuntare il Corno
d’Oro. Un panorama mozzafiato brilla nei riflessi delle moschee.
“Anche io viaggio da sola! Potremmo visitare la Città
insieme, se non ti dispiace!”
Ho sentito di nuovo il rumore di un incidente, e per un
attimo ho pensato di trovarmi ancora coinvolto nel tamponamento. Invece è tutto
vero. Sabrina è bellissima e mi ha chiesto di passare la vacanza a Istanbul con
lei. Quel frastuono che avevo sentito è il mio cuore, che adesso batte
all’impazzata.
Aeroporto Internazionale di Istanbul, Sabiha Gokçen. “Sabiha
è stata la prima aviatrice turca e la prima pilota da combattimento del mondo”,
mi dice Sabrina.
Sabiha-Sabrina.
Sabrina è bellissima e anche l’aeroporto è bellissimo,
perché si chiama come lei.
Poi, al controllo dei documenti, il doganiere nota che i
miei documenti sono un po’ stropicciati. Mi fa cenno di seguirlo.
Dico a Sabrina di aspettarmi, che vado a risolvere la
faccenda dei documenti e torno subito.
“Ti aspetto qui, sennò poi come faremmo a ritrovarci? Non ci
siamo ancora scambiati il numero di telefono!”, dice lei.
Mi caricano su una camionetta. Non la rivedrò mai più.
I mei documenti stropicciati sono stati cambiati per documenti
falsi.
Pochi minuti dopo, mi ritrovo rinchiuso nel carcere dell’aeroporto,
in attesa di venire rimpatriato con il primo volo.
L’immagine di Sabrina svanisce, mentre finisce quella
terribile giornata a Istanbul (non Costantinopoli).