mercoledì 31 maggio 2017

MISTERI E AFFINI

A quel tempo cercava lavoro e non trovò niente di meglio che presentare domanda agli scalcinati uffici della "Misteri e Affini”, la squadra d’investigatori dell’impossibile. Il biondo che si presentò come Fred Jones gli tese la mano ed esaminò superficialmente il suo curriculum, prima di decretare con sufficienza che andava bene per il ruolo, e il ruolo era quello di portare a pisciare il cane.
Il cane, Scooby Doo, era un grosso alano castrato che faceva da mascotte agli inverosimili detective. La squadra invece era composta oltre che dal biondo, anche da due ragazze: Daphne, la fregna stratosferica e Velma, la classica stronza occhialuta con la frangetta e la vocetta impertinente. Fred spiegò che il padrone di Scooby Doo, un fattone di nome Shaggy, era da poco venuto a mancare, l’avevano trovato annegato nel suo stesso vomito nei bagni di una discoteca per froci.
“Dopo la scomparsa di Shaggy volevamo smettere” disse Daphne, “sai, per rispetto.”

“Però abbiamo visto che la gente ha bisogno di noi, ci sono troppi casi misteriosi irrisolti” disse Velma, con quel suo tono saccente.
Poi improvvisamente...

(Mistero)

ISTANBUL (NON COSTANTINOPOLI)

Premessa. Come un Gramsci o un Rustichello da Pisa qualsiasi, le righe che seguono le ho scritte dal carcere.

22 aprile 2016, Istanbul. Mi trovo chiuso a chiave in una cella grigia, senza finestre. Condivido questo squallore con due fratelli marocchini e un hippy californiano. Uno dei due marocchini dorme su un divanetto lurido, avvoltolato in una coperta di stracci. L'altro è in piedi, scalzo sul sajjāda, e recita la preghiera notturna, il ṣalāt al-ʿIshāʾ.
Michael, l'americano, adesso è in silenzio perché aspetta gli esiti della telefonata che gli hanno concesso di fare: "I know somebody who knows somebody", mi ha confessato. Buon per lui.
Il bagno è completamente allagato e dalla turca turca(!) intasata, sbuca minacciosa la testa di un mostro lovecraftiano, marrone e mefitico. Trattenendo il respiro per i miasmi che si diffondono nel claustrofobico bugigattolo, racconto a bassa voce all'annoiato Michael gli avvenimenti che mi hanno portato fin lì.

La giornata è partita non proprio benissimo, dove con "non proprio benissimo" intendo dire che alle 10.30, appena dopo la colazione, sono stato coinvolto in un tamponamento multiplo. Ero ancora in Italia, mi ero alzato presto per raggiungere l’Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, per partire verso la Turchia e trascorrere a Istanbul quattro giorni di meritate vacanze. È successo tutto molto velocemente: la mia Yaris, con indomito spirito da piccola utilitaria giapponese kamikaze, s’è lanciata contro altri due veicoli, schiantandosi contro le mie speranze di cominciare nel migliore dei modi il viaggio.
Dopo aver costatato amichevolmente che quel rottame della mia auto poteva ancora portarmi all'aeroporto, seppur dolorante dopo lo scontro, mi sono fondato a prendere l'aereo, che non ho perso per un soffio.

“Tre auto distrutte, compresa la mia.
Adesso cerchiamo di non guastarci le vacanze!”

Slacciate le cinture di sicurezza dopo un decollo senza storia, ho smesso di pensare alla disavventura del mattino per gettarmi con i pensieri nell’ebrezza della gioia del viaggio, nel fascino esotico che richiama in me Bisanzio, e nel generoso decolleté di una delle hostess. Poi la splendida creatura seduta nella poltroncina accanto a me si è presentata. “Sabrina”, ha detto, e intorno a me, come in un miraggio, è spuntato l’Oriente dal sapore di cumino e di cardamomo.
“Costantinopoli è una dama carezzevole con un neo sulla guancia”, diceva Maometto II prima di mettere le mani sulla città nel 1453. “Una dama carezzevole con un neo sulla guancia…”

Michael m’interrompe e mi saluta, la sua telefonata ha avuto un esito positivo. La porta si apre ed è libero. Al suo posto, vengono condotti nella cella un curdo visibilmente alterato e un ragazzino magiaro spaventato come un agnellino a Pasqua. Nessuno di loro ha voglia di parlare, così torno a perdermi nel ricordo della folle giornata, e ritorno a pensare a Lei.

Sabrina è bellissima. Bionda, con la pelle color ambra. Afferma di essere di origine berbera al 100%, e scopro stupito che talvolta capita, anche se non di frequente, che delle ragazze berbere nascano con i capelli dorati. Dice di essere nata ad Algeri, e di aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Cartagine (non Tunisi). Poi è venuta a vivere in Italia, dove lavora come interprete. Il suo accento è arabo, ma anche un po’ francese. Il suo neo sulla guancia è una danzatrice del ventre che nella sua frenetica danza esotica mi conquista e mi seduce. Dall’oblò dell’aereo ecco spuntare il Corno d’Oro. Un panorama mozzafiato brilla nei riflessi delle moschee.

“Anche io viaggio da sola! Potremmo visitare la Città insieme, se non ti dispiace!”

Ho sentito di nuovo il rumore di un incidente, e per un attimo ho pensato di trovarmi ancora coinvolto nel tamponamento. Invece è tutto vero. Sabrina è bellissima e mi ha chiesto di passare la vacanza a Istanbul con lei. Quel frastuono che avevo sentito è il mio cuore, che adesso batte all’impazzata.

Aeroporto Internazionale di Istanbul, Sabiha Gokçen. “Sabiha è stata la prima aviatrice turca e la prima pilota da combattimento del mondo”, mi dice Sabrina.
Sabiha-Sabrina.
Sabrina è bellissima e anche l’aeroporto è bellissimo, perché si chiama come lei.
Poi, al controllo dei documenti, il doganiere nota che i miei documenti sono un po’ stropicciati. Mi fa cenno di seguirlo.
Dico a Sabrina di aspettarmi, che vado a risolvere la faccenda dei documenti e torno subito.
“Ti aspetto qui, sennò poi come faremmo a ritrovarci? Non ci siamo ancora scambiati il numero di telefono!”, dice lei.
Mi caricano su una camionetta. Non la rivedrò mai più.
I mei documenti stropicciati sono stati cambiati per documenti falsi.

Pochi minuti dopo, mi ritrovo rinchiuso nel carcere dell’aeroporto, in attesa di venire rimpatriato con il primo volo.

L’immagine di Sabrina svanisce, mentre finisce quella terribile giornata a Istanbul (non Costantinopoli).

mercoledì 24 maggio 2017

IL PRINCIPE DEGLI INTERSTIZI

Per uno di quei moti d’insofferenza verso la tediosità della vita quotidiana che colgono, talora, anche le persone di minor fantasia, Guidrigildo Bai, quarantaquattro anni, impiegato postale, una sera d’estate, mentre rincasava a piedi dal suo ufficio, decise di proclamarsi imperatore del più esteso territorio del mondo.
Sennonché, circa a metà del viale Federico di Prussia, s’era quasi convinto che nessuna delle nazioni già esistenti si sarebbe mai sottomessa a lui, figuriamoci un Grande Impero.
Questa è la parte difficile. Con una sola eccezione, tutte le terre emerse sono state rivendicate da qualcuno. Qual è l'eccezione? L'Antartide. “In questo caso, anche se fossi disposto ad affrontare il clima e il problema di attirare una popolazione, l'Antartide è gestita dalle nazioni più potenti, ed è improbabile che qualcuno mi lasci piantare una bandiera!”.

“Gildo”, gli disse la moglie qualche giorno dopo “pagherei qualsiasi cosa per sapere cos’hai. Sei sempre pensieroso. E di notte ti lamenti e parli!”
“E cosa dico?”
“Ti preoccupi di quello che dici nel sonno? Vedi che mi nascondi qualcosa?”
Guidrigildo prese coraggio. Era ora che proclamasse la sua Dichiarazione d’Indipendenza.
“D’ora in poi rivolgiti a me solo come Guidrigildo Primo Bai. L’altra sera ho deciso di farmi riconoscere imperatore, e credo di aver trovato cosa rivendicare. Sarò il Principe Supremo di tutti gli Interstizi.”
“Di cosa?” la donna sussultò e sgranò gli occhi.
“Tutte le terre emerse sono occupate da nazioni che un bel giorno, di punto in bianco, hanno fissato dei confini. Ci sono ben 206 stati sovrani e tutti confinano tra di loro. Non capisci qual è il punto?”
“Dev’essere che stai per avere un esaurimento!”
“Il punto è che nessuno ha mai rivendicato gli Interstizi, lo spazio tra un confine e l’altro! Ecco perché ho deciso di farlo io!”
La signora Bai scoppiò a piangere, gli disse che era un fanatico, un esaltato, la discussione si accese, lui la colpì con una ciabatta, non si doveva permettere, e fu così che nel giro di qualche minuto il Principe Supremo di tutti gli Interstizi fu sbattuto fuori di casa.
Guidrigildo, in piedi sul vialetto, chiuse la valigia riempita frettolosamente con qualcuno dei suoi effetti personali e si convinse che in qualità di cittadino di uno stato fatto d’interstizi, non poteva vivere in una casa, ma sul confine tra la sua proprietà e quella che non è la sua proprietà. Si convinse che l’unico luogo che potesse effettivamente chiamare “il suo Palazzo Imperiale” fosse un non-luogo concettuale attraversabile solo nel momento in cui era sbattuto fuori di casa dalla moglie. Non prima, in casa. Non dopo, sul vialetto. Durante il passaggio, nell’interstizio.
Provò a farsi buttare fuori di casa altre volte dalla moglie ma quella chiamò i carabinieri e Guidrigildo Primo Bai passò la notte in prigionia, in uno stato che non riconosceva più come il suo.
L’Imperatore fu rilasciato il giorno seguente. Dovette subire le derisioni di quegli ufficiali stranieri che lo tradussero fuori dalle carceri e lo trattarono come un mitomane qualsiasi.
“Ve la farò pagare, infami lanzichenecchi!” apostrofò Guidrigildo Primo Bai, con fare solenne. Alle sue minacce non seguirono però delle formali dichiarazioni di guerra.

Passò circa un mese. Si ebbero notizie di Sua Altezza all’aeroporto Giulio Cesare, dove si stava per imbarcare su un volo con destinazione Sidney, Australia. Fece ordinatamente la fila all’imbarco, in mezzo a tutti i plebei che prendevano quel comune volo di linea. Si sedette su una poltroncina vicino al finestrino, accanto ad un grassone sudato che dondolava come un budino. Quando l’hostess passò a controllare che si fosse allacciata la cintura di sicurezza, senza farsi vedere, Guidrigildo Primo Bai stracciò il suo passaporto italiano e la sua carta d’identità.
Ne conseguì che all’arrivo all’aeroporto di Sidney, l’Imperatore sprovvisto di regolari documenti fu fermato e rimandato in Italia con il primo volo diretto. E in Italia, l’Imperatore sprovvisto di regolari documenti fu fermato e rimandato in Australia con il primo volo diretto. E in Australia, l’Imperatore sprovvisto di regolari documenti fu fermato e rimandato in Italia con il primo volo diretto. Così per sempre, fino alla fine dei suoi giorni, quando morì all’età di quarantasei anni per dissenteria del viaggiatore.

Da un altro punto di vista: Guidrigildo Primo Bai visse gli ultimi anni della sua vita felice e contento nel suo Impero, il più esteso del mondo, l’Interstizio nel confine tra l’Italia e l’Australia.