martedì 13 settembre 2016

MUCCHI DI PECORE

Non riesce a prendere sonno, quindi decide di contare le pecore che saltano la staccionata.
Immagina innanzitutto la stalla, che appare come una precaria costruzione di legno tarlato. Dalla porticina scricchiolante e socchiusa usciranno a breve tutte le pecore, salteranno la staccionata del recinto che circonda il loro rifugio e scorrazzeranno libere nei prati da pascolo, che l’Insonne s’immagina lussureggianti e sconfinati. Dunque eccola, la prima pecora, mettere il muso fuori dall’ovile.
“Uno!”, considera l’Insonne, incominciando il suo conteggio.
“No, aspetta… Uno! Dai, pecora numero uno!”
La prima pecora non sembra aver nessuna voglia di uscire, e ricaccia la testa all’interno della stalla. L’Insonne è piuttosto spazientito e gli ci vuole una buona dose d'inventiva per riuscire a figurarsi, finalmente, che questa prima pecora riprenda l’iniziativa di uscire allo scoperto.
“Uno!”
La prima pecora si avvicina alla staccionata, l’annusa, e poi si mette a brucare dei ciuffi d’erbaccia secca, lì dove si trova, rifiutandosi di saltare dall’altra parte.
“Muoviti, stupida bestia! Salta la staccionata!”, impreca l’Insonne, senza ottenere niente.
L'irresponsabile animale s’accascia, come per beffare il suo padrone senza sonno, e s’addormenta. Fortunatamente un'altra pecora esce dalla stalla.
“Due! Anzi no, uno!”
La pecora numero due, che procede zampettando, sarà la prima a saltare la staccionata, superando così in graduatoria la pecora numero uno e rilevandone il numero? L’Insonne spera di sì, ma riceve una cocente delusione. Anche questa pecora s’arresta bruscamente invece di saltare.
“Ma che vi prende! Saltate! Saltate!”
L’Insonne s’immagina vividamente altre pecore uscire tutte insieme, disordinatamente, dal capanno. Questa volta non attribuisce loro un numero, il numero se lo dovranno guadagnare saltando dall’altra parte. Sono cinque o sei nuovi soggetti, compresa una pecora nera e una bestiola scheletrica tutta tosata. Anche queste nuove pecore, come le precedenti, si fermano davanti alla staccionata senza neanche prendere in considerazione l’ipotesi di saltare. Si ammucchiano le une vicino alle altre, urtandosi. La pecora magra strappa con avidità gli ultimi ciuffi di quell’erba giallastra, e pensare che dall’altra parte la vegetazione è abbondante e si sente scorrere placido un ruscello. L’Insonne spera che vinta dalla golosità o dalla sete, una pecora si assuma l’iniziativa di esplorare l’altra sponda e che venga presto imitata dalle altre. Macché! Altre pecore, nel frattempo, sono uscite dall’ovile. Sono pecore dalla lana arruffata, molto più massicce delle precedenti, e con delle grosse corna ricurve. Questi enormi animali si posizionano nello stesso punto scelto dal resto del branco, comprimendo le pecore più piccole contro la staccionata, in una morsa soffocante. La prima pecora, che è ancora stesa a terra addormentata, viene calpestata dagli zoccoli. Si sveglia di soprassalto, lancia un terribile grido, ma schiacciata con violenza, soccombe ben presto. Le altre pecore, insensibili, continuano a vegetare indolenti e a premersi sempre di più le une contro le altre. Dalla piccola stalla di legno continuano ad uscire un numero spropositato di ovini e il gregge ammassato di fronte alla staccionata ammonta ormai a una trentina di capi, anzi no, 40 o 50 individui adulti e qualche cucciolo che bela disperato, perché ha perso la mamma e perché gli manca l’aria e presto finirà infilzato nel corno di qualche ariete. La tragedia si mostra in tutta la sua brutalità: la stalla vomita ininterrottamente una massa belante di pecore impazzite, che corrono a gettarsi su cumuli di pecore morte soffocate, infilzate, schiacciate. Sanguinolenti animali azzoppati emergono dall’ammasso di carne belante, si fanno strada a morsi, lanciando raccapriccianti grida.
L’Insonne è terrorizzato, spalanca gli occhi ridestandosi di colpo, ma è troppo tardi per evitare che centinaia di zoccoli lo calpestino a morte e lo riducano a una poltiglia di sangue e lana.

Qualcuno potrà sperare che diventi un buon kebab.

lunedì 12 settembre 2016

DIALOGO TRA UNA MOSCA E UN PESCIOLINO ROSSO

Mosca: “Ho deciso di donarti la libertà, amico pesce! Non sarai più confinato in questa gabbia di vetro, simbolo dell’oppressione umana!”

Pesce: "…"

Mosca: “Certo, capisco le tue obiezioni. Ti senti al sicuro nella tua boccia, ma non puoi fingere di essere felice. C’è tutto un mondo, qua fuori, che  meriti di conoscere. Ad esempio, poco distante da qui, c’è una bella merda fumante, calda ed accogliente, ed è un peccato che non puoi goderne.

Pesce: "…"

Mosca: Fidati di me, ti farò uscire in un battibaleno.

Detto ciò, la mosca si avvicina all’orecchio di Camillo Ferdinando, che è seduto al pianoforte a comporre una complicata melodia in tempi dispari. “Zzzzzz”, fa la mosca, rompendo i coglioni. Camillo Ferdinando tenta di spiaccicarla al volo, ma la scaltra stronzetta volante gli sfugge e prende a girargli intorno. Ecco che Camillo Ferdinando le lancia contro una copia arrotolata del Corriere, mancandola clamorosamente ma centrando in pieno l’acquario.

Crash.

Mosca: Eccoti libero, amico mio. Và, esplora il mondo, vivi la tua vita più intensamente che puoi!

Pesce: "…"

Mosca: No, un bicchiere d’acqua non ce l’ho. Ti posso offrire della Pepsi!


Pesce: -

Nella foto: Mosca

martedì 21 giugno 2016

ISOLE

È il velo da sposa dell'alba, la nebbia intorno a me, l’Isola.
Le case dall'intonaco di latte sorvegliano una pallida spiaggia di sassolini bianchissimi e levigati. Tutt’intorno, i cactus e la dolce salvia.
Disteso al sole, ci sono io, che ancora non posso credere a questo meraviglioso cielo azzurro, che è il mare del Paradiso.
E poi la nebbia si dirada, e non sono più l’Isola, ma un promontorio, una parte del Continente.
E le correnti marine mi uniscono a tutto.

Distesi al sole, ci siamo noi, qualche lucertola e un serpentello.

Gli antichi greci chiamavano l’isola “Ophiussa”, piena di serpenti. Ecco perché ci sono anche i serpenti. Ridi, perché non t’importa, e i tuoi denti sono bianchissimi come i sassolini.

venerdì 8 aprile 2016

IL DURO MESTIERE DEL CACCIATORE NELLE FAVOLE

Un lupo. Un grosso lupo nero, con una folta pelliccia e denti taglienti come la lama di un rasoio.
Uno sparo. Il solerte cacciatore, con un colpo preciso, ha trafitto quella belva famelica in un punto vitale. Tra sette secondi l’animale sarà morto. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… Un tonfo a terra, leggermente in anticipo. Come ogni mattina, il cacciatore gira per i boschi della sua fiaba e gli capita di accoppare un lupo.
- Questo dovrebbe essere il lupo che ha divorato Cappuccetto Rosso e la sua nonnina. Meglio che me ne sinceri.
Il cacciatore estrae dalla sua giubba un coltellino multiuso, squarcia la pancia dell’animale dall’inguine alla gola, e scopre con amarezza che il lupo è vuoto.
- Per quella buona donna della madre dei fratelli Grimm! – sacramenta l’uomo, che ha perso del tempo per niente, - Ricominciamo!

Un lupo. Uno spaventoso lupo grigio, con una pelliccia spessa e due zanne ricurve, tanto che in penombra lo si scambia per un mammut.
Una scarica di mitra. Il cacciatore, che questa volta vuole strafare, ha crivellato l’orrendo mostro, che cade esangue emettendo un rauco grido miserabile. Il coltellino multiuso è un po’ sporco di sangue e il cacciatore lo pulisce strofinandoselo sui pantaloni.
- Questo dovrebbe essere il lupo che ha divorato Cappuccetto Rosso e la sua nonnina. Meglio che me ne sinceri.
E come da convenzione, apre la pancia dell’animale dall’inguine alla gola, sporcandosi di sangue e viscere l’impeccabile giubba verde. Questa volta, nello stomaco del lupo, c’è qualcosa: una principessa, il vitello d’oro, uno stegosauro, un folletto irlandese, la moglie del Presidente, tutti i dischi di Little Tony e altre cianfrusaglie simili. Neanche l’ombra di Cappuccetto e la nonna.
- Per quella buona donna della sorella dei fratelli Grimm! – sacramenta l’uomo, che ha perso del tempo per niente, - Ricominciamo!

- Un altro lupo, speriamo che questa sia la volta buona! – pensa il cacciatore, mentre riempie la dura scorza del canide feroce con una gragnola di pallini di piombo. Sta per sventrare la bestia morta, quando un ambientalista del Greenpeace gli corre incontro, per chiedergli se dopo può tenersi i resti, per farci una pelliccia e un budriere da rivendere ai turisti.
- Accidenti anche questo è un lupo vuoto.
- Cosa ci dovrebbe essere dentro, scusate? – chiede l’ambientalista, che nel frattempo è diventato tutto verde.
- Una nonna e Cappuccetto Rosso.
- Capita spesso?
- Come prego?
- Ho detto, capita spesso che nei lupi come questo ci si trovino all’interno delle nonne e dei cappucci scarlatti?
- No, non molto spesso, ultimamente.
- Allora il lupo che cercate è raro. Io sono un ecologista e debbo proteggere le specie a rischi d’estinzione. Non vi permetterò di uccidere ancora!
- Ho un regolare permesso di caccia.
L’ambientalista appassisce e diventa tutto giallo.
- Che cos’avete, state bene? Avete cambiato colore!
- Purtroppo sto tirando le cuoia, parlando con voi mi sono dimenticato di fare la fotosintesi clorofilliana.
L’ambientalista a muore sul colpo e il cacciatore gli dedica qualche minuto, declamando i versi della poesia di Manzoni che inizia con “Ei fu siccome immobile”, fermandosi ad “Orba di tanto spiro” perché non sa più come andare avanti. Poi il cacciatore sventra anche l’ecologista per vedere se magari, chissà, ha mangiato almeno la nonna, ma non è così e allora pazienza.
- Per quella buona donna della zia dei fratelli Grimm! Io non posso restare seduto in disparte, né arte né parte, non sono capace di stare a guardare, senza un lupo scuoiare…Ricominciamo!

Un lupo. Questa volta è piccolo e fa tenerezza. Cerca la madre, magari la lupa morta poco fa. Non potrebbe mai aver mangiato la nonna. Cappuccetto forse sì, ma la nonna no. Il cacciatore vuole controllare lo stesso (è scrupoloso). Dopo aver costatato di persona che nel piccolo ventre del cucciolo, di nonne e Cappuccetti non c’è traccia, getta i resti ai corvi, che banchettano con i miseri resti. I loro becchi insaziabili fanno un vero scempio di quella pelliccia così morbida. Il cacciatore ne approfitta per pisciare dietro un albero. Neanche questa volta gli è andata bene, anche se probabilmente è al lupetto che è andata peggio.
- Per quella buona donna della cugina dei fratelli Grimm… Questa è l’ultima volta che spreco pallottole così a vanvera! Ricominciamo!

Mentre il cacciatore solerte scruta l’orizzonte in attesa di nuovi lupi, vede i tre porcellini che saltellano nel prato. Tilli e Billi sfottono Gimmi che si è fatto il culo per costruirsi una casa di mattoni con la porta blindata anti-lupo, anche se di lupi non ce n’è traccia.
Il cacciatore corre verso i porcellini.
- Cosa ci fate voi tre bricconcelli qua? Chi vi ha detto di costruire una casa di mattoni, una di legno e una di paglia nella mia favola? Questo è abuso edilizio!
- Guardi, signor guardaboschi, che codesta è la nostra favola!- dice Gimmi.
- Secchione di merda!- gli fanno eco i fratelli.
- No, guardate che siete nella favola di “Cappuccetto Rosso”, io sono il cacciatore che deve aprire la pancia del lupo per salvare la nonna e Cappuccetto stessa!
- Mi duole contraddirla, signor Guardia Forestale, ciò che lei dice è errato! Senta anche il parere dei Tre Orsi!
I Tre Orsi stanno tornando fischiettando verso casa, dove troveranno a sorpresa Riccioli d’Oro a dormire nel lettino dell’Orso più piccino.
- Ciao cacciatore! – fa Papà Orso, con la sua vociona.
- Ciao cacciatore! – fa Mamma Orso, con la sua vocetta.
- Ciao cacciatore! – fa Bimbo Orso, con la sua vocina.
- Ciao Orsi… è vero quel che dicono i porcellini? Ho sbagliato storia?
- Ebbene si! – fa Papà Orso, con la sua vociona.
- Ebbene si! – fa Mamma Orso, con la sua vocetta.
- Ebbene si! – fa Bimbo Orso, con la sua vocina.
- Oh cavolo! Ho scazzato di brutto! 
La famiglia degli Orsi si allontana, mentre Tilli e Billi cantano ilari:
- Chi ha paura del lupo cattivo? Gimmi ha paura del lupo cattivo!
Gimmi chiede al cacciatore: - Ha mica visto per caso il nostro lupo? Se non arriva, non sappiamo come concludere la nostra storia! Non arrivano neanche i lupi di scorta!
Il cacciatore guarda Gimmi, poi Tilli e Billi.
- Concluderò io la vostra storia! – dice sventrandoli col suo fido coltello.

Il cacciatore divora i tre salsicciotti con foga animalesca e poi, visto che di lavorare non ne ha più voglia, si trasferisce perennemente in un'altra favola dei fratelli Grimm, “Gola Profonda”.

IL MARCHESE DEL GERBILLO

GERBILLING = Con il termine gerbilling s’intende una pratica sessuale consistente nell'introduzione di animali vivi di piccole dimensioni, ad esempio roditori, piccoli pesciolini o anfibi di modeste dimensioni, all'interno dell'orifizio anale o vaginale allo scopo di provocarne la stimolazione. La denominazione deriverebbe per l'appunto dal nome di uno degli animali ipoteticamente utilizzati: il gerbillo.
Tale pratica è fonte di una serie di leggende urbane ampiamente diffuse in svariate parti del mondo, delle quali una delle più note vede l'attore Richard Gere vittima di complicazioni occorse mentre sperimentava tale gioco erotico.

- Finirai con lo sposare il marchese – disse Ninfodora, sospirosa. Ninfodora e Amaranta erano impegnate nei preparativi per addobbarsi da troie e recarsi come di consueto alle serate danzanti patrocinate dal visconte di Belbecco. La prima si stava annerendo le gambe con del lucido da scarpe per evitare che si vedessero i folti peli; Amaranta invece, seduta con la schiena rigida, stava facendo gli esercizi di ginnastica facciale che, come le era stato detto, avrebbero prevenuto le rughe.
- Non desidero affatto sposarmi col marchese – rispose Amaranta massaggiandosi gli zigomi - Non voglio rovinare la prima notte di nozze perché ho le mie cose!
- Sposarti IL marchese, non COL marchese! Ah, come sarebbe bello… – La romantica Ninfodora si lasciò trasportare in un impeto di trasognata passione. Allungò una mano per toccare il ramoscello di rosmarino che aveva messo dietro lo specchio; glielo aveva dato il fidanzato l’ultima volta che s’erano incontrati. – Se non fossi innamorata di Uranio, non ci penserei due volte a sposare un titolato. Avrei tutte le cose che hanno i ricchi!
- Per esempio?
- Per esempio… un valletto, una carrozza e burro… tanto burro!
- Non ne mangio mai. Fa ingrassare – rispose senza guardare la pancia di Ninfodora che però se la prese lo stesso.
- Non so su che cosa poggi tanta altezzosità da parte tua – le disse l'amica, tagliente. – Non mi rimpinzo certo, con il burro.
Amaranta la guardò sorpresa e l’altra sospirò. – Ti devo proprio spiegare tutto. Almeno sai chi è Richard Gere, no?
Certo che lo sapeva. Richard Gere, nato a Filadelfia da genitori d'origine anglo-irlandese.
Il suo successo è esploso nel 1980 con il film American Gigolò e si è sempre più consolidato nel tempo, grazie anche a opere come Pretty Woman e Il dottor T e le donne. Si è sposato due volte, nel 1991 con la modella e attrice Cindy Crawford, poi nel 2002 con l'attrice Carey Lowell dalla quale ha avuto un figlio. È un vegetariano convinto. Si è convertito al buddhismo ed è in prima linea per cause civili come la lotta all'AIDS e i diritti umani nelle zone del Tibet.
- Richard Gere va ghiotto di burro? – Amaranta non riusciva davvero a capire.
- Richard Gere è ricco, molto ricco. Proprio come il marchese tuo spasimante. Nella sua villa a Filadelfia ha centinaia di domestici, auto di lusso ed è anche pieno di burro.
Ora, cerca di capire: una persona ricca che si rispetti, non può sollazzarsi come tutti gli altri plebei. Si racconta che Gere, per raggiungere il piacere sessuale, s’infili nell’ano una svariata quantità di oggetti di tutte le forme o dimensioni. Il burro, opportunamente spalmato nell’aureola dell’orifizio, serve a permettere che ciascuno degli oggetti prescelti scorra con facilità. Mi stai seguendo?
Mentre Ninfodora parlava, i suoi piccoli occhietti castani brillavano. Sapeva benissimo di non essere attraente come l’amica, che era oggetto delle attenzioni di un vero marchese. Certo, lei era felicemente fidanzata con Uranio, un bravo ragazzo che la amava e la vezzeggiava. E lei amava Uranio, gli aveva dichiarato fedeltà... almeno finché quella sera, dopo due cocktail, con l’alibi di essere ubriaca, non le si sarebbe paventata l’occasione di fare una pompa al Belbecco nel bagno degli uomini.
- E Richard Gere – Ninfodora parlava con tale trasporto che sembrava in preda all’estasi dell’amore – …i ricchi, i marchesi… La moda all’ultimo grido è praticare il gerbilling. Sarà bene che t’istruisca anche su di questo… Metti caso che stasera, in discoteca, il marchese ti porti nei bagni degli uomini con un criceto in mano…

In fondo alla stanza c’era una gabbietta, con un piccolo animaletto dal pelo arruffato.